Quando si inizia il lungo viaggio dello yoga è importantissimo mettere sia la mente che il nostro corpo nelle condizioni ideali per raggiungere i livelli più profondi dello spirito e gli yama e i niyama servono proprio a questo.
Per mettere le basi etiche e morali per praticare lo yoga correttamente e vivere uno stile di vita yogico.
Gli yama, così come i niyama, sono aspetti che spesso vengo sottovalutati da molti praticanti che vedono nello yoga solo un disciplina fisica, come se fosse uno sport, ma questa filosofia va ben oltre la pratica fisica delle posizioni.
E’ importantissimo conoscere quali sono gli yama ed i loro significato perché è proprio su questi che si basa una pratica corretta e uno stile di vita yogico.
“Gli yama, ma anche i niyama, sono le radici dell’albero dello yoga. Senza queste l’albero sarebbe più fragile e crollerebbe più facilmente”.
In questo articolo scoprirai che cosa sono gli yama, il loro significato e come è possibile applicarli non solo mentre esegui gli asana ma anche nella vita di tutti i giorni.
Buona lettura e buona scoperta degli yama 😉
Indice
Che cosa sono gli Yama?
“Non violenza, veracità, onestà, continenza e assenza di avidità per beni materiali al di là delle proprie necessità sono i cinque pilastri di yama”.
Gli yama sono il primo degli otto “anga” dello yoga descritti negli Yoga Sutra di Patanjali.
La parola yama deriva dalla redice yam che significa controllo, controllare e questo controllo si riferisce al comportamento del praticante.
Gli yama possono essere tradotti anche come astinenze, freni.
Sono considerati come dei veri e propri principi etici che hanno lo scopo di migliorare il modo di comportarsi di un sadhaka, il praticante, verso se stesso e verso gli altri.
“Gli yama possono essere considerati come le fondamenta della casa dello yoga. Senza di queste difficilmente la casa sarà stabile”.
A differenza dei principi morali che possono variare a seconda della cultura o della religione, i principi etici dello yoga sorgono dal bisogno dell’uomo di rispettare la sua natura e vanno al di la del tempo, del luogo, della cultura a cui si appartiene e della religione.
Quando nasciamo siamo tutti puri ma con il passare del tempo prendono il sopravvento i nostri impulsi violenti, egoistici, le paure, l’attaccamento, l’avversione e ci si dimentica da quello che siamo veramente.
Grazie agli yama è possibile prendere le distanze da tutto questo ed invertire la direzione verso cui si sta andando.
Spesso si confondono questi principi con dei veri e propri comandamenti ma c’è una grande differenza.
Mentre i primi sono stati solitamente dati dall’alto e se non si rispettano si fa un peccato, gli yama nascono dallo studio della natura dell’uomo e dall’esigenza di creare una vita in armonia con noi stessi e con gli altri.
Sono stati creati dall’uomo per l’uomo e dovrebbero coinvolgere non solo le azioni ma anche il pensiero e le parole.
Gli yama possono essere visti come l’inizio del percorso del praticante, ma sono sono da considerarsi anche anche come il suo fine.
Gli yama sono 5:
- Ahimsa: non violenza
- Satya: verità
- Asteya: non rubare
- Brahmacharya: continenza
- Aparigraha: non avidità nel possedere
Andiamo ora a vedere ogni yama nello specifico.
Ahimsa: non violenza, non fare del male
Il termine himsa sanscrito significa violenza, fare del male e il suffisio a- invece significa non, perciò ahimsa può essere tradotto come non fare del male, non violenza.
Questo principio di comportamento è un concetto molto più ampio di quanto si può inizialmente immaginare.
Il “non fare del male” infatti, può essere applicato alla pratica fisica, ai pensieri, alle parole, ai comportamenti ed anche al mangiare.
Non essere violenti nella pratica fisica significa essere delicati con il proprio corpo. Molto spesso infatti succede che per arrivare a fare una posizione complicata si chiede troppo al nostro fisico, ci si allunga esageratamente, ci si stanca eccessivamente e perciò si infrange questo principio.
“Quando la non violenza in parole, pensieri e azioni è resa stabile, l’uomo abbandona la sua natura aggressiva e gli altri cessano di essere ostili in sua presenze”.
Praticare la non violenza nelle parole e nei pensieri significa invece comprendere che a volte quello che si pensa e quello che si dice possono ferire più di un pugnale.
Secondo me la cosa importante in questo caso è la motivazione per cui si fa o si dice qualcosa. Se le parole e le azioni sono provocate da una causa giusta, da valori nobili, da generosità, solidarietà e lealtà, allora molto probabilmente stiamo rispettando il concetto di “non violenza”.
Il non fare del male sicuramente può essere collegato anche al tipo di dieta che si segue.
Questa è la principale motivazione del perché la maggior parte delle persone che praticano yoga sono o diventano vegetariane/vegane.
Il fatto di non mangiare carne, e qualunque cosa che deriva da animali, spezza la catena della sofferenza a cui gli animali degli allevamenti sono sottoposti.
Naturalmente è giusto applicare il principio della non violenza con equilibrio, giudizio e maturità senza che sfoci in comportamenti esagerati.
Satya: non mentire, verità
Quando il sadhaka (il praticante) è ben stabilità nella pratica della verità, le sue parole, diventano così potenti che qualsiasi cosa dica di realizza”.
Anche in questo caso, il principio di satya va ben oltre il dire la verità ed è molto più sottile.
La verità riguarda pensieri, parole ed azioni e quando si mette in atto bisognerebbe farlo sempre con assoluta consapevolezza perché a volte si rispetta questo principio ma se ne infrangono altri.
Per esempio se io dico la verità ad una persona ma quella verità fa stare male quella persona non sto rispettando ahimsa perché sono violento nei suoi confronti.
La verità non è un arma di cui abusare, e la spada della verità possiede due lame a cui bisogna fare attenzione.
Verità nel comportamento significa comportarsi come si è veramente e non a seconda della circostanza o dello scopo che ho in quel momento.
Applicare satya significa anche vedere le cose per quello che realmente sono e non a seconda degli schemi mentali che creano solo una falsa illusione.
E’ importantissimo applicare questo yama nella pratica degli asana perché spesso si infrange questo principio.
Quando si pratica infatti, accettare la situazione del corpo in quel momento, accettare la propria età, accettare i propri limiti, significa essere veri con se stessi.
Asteya: non rubare, onestà
Steya in sanscrito significa rubare perciò asteya è il suo opposto cioè non rubare, onestà.
Da piccoli ci insegnano il non rubare un oggetto ma asteya è un principio molto più profondo.
Il non rubare può essere applicato per esempio al cibo. In questo caso può essere inteso anche come il non mangiare troppo perché, ogni volta che lo si fa, questo va ad influire indirettamente sulla popolazione che invece mangia molto meno del dovuto solo perché una piccola parte della popolazione mondiale consuma la maggior parte delle risorse della terra.
Il fatto di essere vegetariani è dovuto anche al fatto di non rubare la vita agli altri animali.
“Quando l’astensione dal rubare è fermamente stabilità, allora arrivano le gemme più preziose”.
Nella pratica fisica satya può essere inteso come il non rubare, ma anche il non desiderare, le abilità degli altri.
Ognuno di noi ha delle qualità uniche perciò cerchiamo di non desiderare quello che non è nostro. Alcuni di noi sono più forti, altri sono più flessibili, altri ancora sono più bravi con l’equilibrio.
Questa è la natura e bisognerebbe accettarla senza giudizio.
Anzi, spesso succede che chi ha più difficoltà all’inizio diventa un insegnante più apprezzato perché riesce a trasmettere ai praticanti come superare quelle difficoltà rispetto a qualcuno che magari non le ha dovute affrontare.
Brahmacharya: continenza
Brahmacharya è uno yama molto discusso e spesso male interpretato perché molti praticanti pensano che per essere delle persone spirituali bisogna praticare la castità.
Non è così.
Può essere inteso in questo senso solo se si sceglie di seguire la via monastica.
Al di fuori di questo caso, può essere interpretato come non sprecare l’energia vitale in attività futili ma cerca di usarla per pratica.
“Quando il sadhaka (praticante) è fermamente stabilità nella continenza, la conoscenza, il vigore, il valore e l’energia fluiscono verso di lui”.
Secondo lo yoga la forza sessuale è molto potente e se usata per altri scopi diversi dalla pratica può portare il praticante fuori strada.
Se usata per la ricerca spirituale invece aiuta il praticante a trovare la via dello yoga.
Inoltre è giusto ricordare che i più grandi yogi della storia avevano famiglia quindi uno yogi può praticare o non praticare l’astinenza sessuale. Anzi a volte, se si reprime la propria energia sessuale, si va solo contro la propria natura.
La cosa importante secondo me da tenere a mente è che, se si usa questa energia solo ed esclusivamente per il piacere dei sensi, allora si va contro questo principio.
Aparigraha: non avidità, non possesività
Non avidità può essere intesa come astenersi dal superfluo, non possessività e quindi anche non desiderare quello di cui non abbiamo veramente bisogno.
Quando si desidera troppo, anche cose del tutto superflue, si genera desiderio che a sua volta porta attaccamento, e questo è una delle afflizioni della mente che lo yoga dovrebbe combattere.
L’attaccamento ai beni materiali, al corpo, ma anche ai pensieri andrebbe evitato altrimenti verrano prodotti dei “semi”che si manifesteranno in futuro.
“La conoscenza delle vite passate e future si rivela quando la persona è libera dall’avidità di possedere”.
Quando invece non si desidera nient’altro che quello che si ha ci si rende conto che tutto quello di cui abbiamo bisogno si trova dentro di noi.
Nella pratica prettamente fisica invece questo yama può essere inteso come non attaccamento al progresso perché più lo si è e meno progressi si vedono.
Conclusioni
Come avrai certamente capito da questo articolo gli yama sono molto più importanti di quello che si pensa e possono essere considerati come le radici dell’albero dello yoga descritto da Patanjali.
Il rispetto di ahimsa porterà uno yogi a non essere più violento né con se stesso né con gli altri, seguendo satya sarà vero nei pensieri, nelle parole e nelle azioni.
Grazie a asteya non ruberà più niente e sarà onesto con se stesso, con il rispetto di brahmacharya userà l’energia vitale per scopi nobili e non per soddisfare i sensi, e infine rispettando aparigraha si terrà lontano dal superfluo rendendosi conto che tutto quello che desidera si trova all’interno e non all’esterno.
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